Dopo alcuni giorni di permanenza a Los Angeles (i post a riguardo qui, qui, qui e qui), abbiamo deciso di spingerci verso l’interno ed esplorare altre zone.
Abbiamo preso la direzione di Las Vegas, ma anziché andare dritti per la strada più breve, abbiamo deciso di fare una deviazione e attraversare la Death Valley: la Valle della Morte. Nonostante il nome, è stata un’idea brillante, perché questo è un posto davvero incredibile.
In realtà già per arrivarci ci vogliono alcune ore di macchina attraverso questi spazi infiniti tipici dell’America, dove c’è poco o nulla, tanto che si può quasi parlare di deserto. Ad essere onesta, è un paesaggio monotono e non di particolare interesse, quindi dopo alcune ore ho iniziato a sospettare di aver avuto una pessima idea e a sperare che non fosse tutto così fino a Vegas. Non lo è, eccome se non lo è!
Man mano che ci si allontana dall’autostrada e poi anche dalle strade minori e ci si addentra nella valle, il paesaggio si fa via via più lunare, fino a quando si inizia a sospettare di essere finiti su un altro pianeta. O su più pianeti, visto che la Death Valley presenta volti diversi.
Innanzitutto il deserto, dove non ci sono alberi, n’è cespugli, nè fili d’erba. Non c’è vita a far rumore, nemmeno il vento riesce a sibilare, per la mancanza di natura in cui infilarsi.
Abbiamo fermato la macchina, siamo scesi e in quel momento ho capito il vero significato di un’espressione che ho incontrato molte volte in vita mia, spesso – ora lo so – usata a sproposito: silenzio assordante. Sì perché siamo così abituati ad essere costantemente circondati dal rumore (delle città, della campagna, del mare, di qualsiasi cosa), che non lo sappiamo mica che cosa sia davvero il silenzio. Bisogna andare nel deserto per scoprirlo ed è una cosa a cui io non ero preparata. Il silenzio, qui, è davvero assordante, credi di essere diventato improvvisamente sordo, è una sensazione – strano a dirsi, in mezzo a quegli spazi infiniti – quasi claustrofobica, riempie tutto, non c’è scampo. Passato lo shock iniziale, però, la pace ti riempie e non te ne vorresti andare…
Che poi in realtà lo credi e basta che non ci siano creature viventi nei dintorni, visto che non si scorge nulla per chilometri… Ma poi ad un certo punto ti volti e c’è lui che ti guarda letteralmente da due metri di distanza. Ops! (In questi casi restare calmi e risalire in macchina, dicono i molti cartelli che abbiamo poi trovato sul percorso)
Basta guidare ancora per qualche chilometro, per vedere il paesaggio cambiare volto e improvvisamente ci si trova davanti un’enorme distesa bianca. È il sale che ricopre quello che una volta era il fondo di un mare, ci si trova infatti nella Badwater Basin.
Poco più avanti, seguendo le indicazioni per la “Artists Drive” si finisce in una specie di ottovolante naturale, vi consiglio di guidare con prudenza, allacciarvi bene le cinture, ma soprattutto tenere gli occhi aperti, perché ogni curva riserva degli scorci pazzeschi. (Non ho fotografato le curve e i salti più spettacolari, perché ero impegnata ad attaccarmi a qualsiasi cosa)
Usciti sani e salvi da questa strada, proseguite ancora un po’ e parcheggiate la macchina all’ingresso del Golden Canyon. Cercate di andarci relativamente presto, in modo da avere abbastanza luce per poterne esplorare una porzione sufficiente. Noi ci siamo andati nel pomeriggio e abbiamo dovuto tagliare la visita per non rimanere bloccati al buio letteralmente in mezzo al nulla, quello vero.
Devo ammettere però che i colori a quell’ora e con quella luce erano da togliere il fiato, facendo davvero onore al nome del posto (canyon dorato).
Finisco questo post con la vista che si gode da Zabriskie Point, un’altura da cui si riesce a far spaziare lo sguardo su gran parte della valle.
Ah sì, e subito fuori dalla valle c’è questo:
In realtà ci sono molti altri punti d’interesse all’interno della Death Valley, ma noi volevamo essere quella sera stessa a Las Vegas, quindi a questo punto ci siamo dovuti rimettere in marcia.
Beh, direi che sapete dove ci porterà il prossimo post… 😉
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