Durante le lunghe settimane di clausura e semi-clausura di questi ultimi mesi, ho (quasi) finito di svuotare gli ultimi scatoloni del trasloco, quelli contenenti le cose meno urgenti e che quindi erano rimasti in pausa per qualche mese. Tra questi ho trovato una scatola con infradito, costumi da bagno e parei che ho subito richiuso perché trovo piuttosto inverosimile che il Covid-19 scompaia di botto e tra un paio di mesi si possa venire giù al mare in Italia. Ma chissà, ormai non mi stupisco più di nulla.
Prima di richiudere la scatola, mi è caduto lo sguardo su un pareo e ho sentito un tuffo al cuore.
I ricordi del mio viaggio a Bali mi hanno travolto con prepotenza. I templi immersi nella natura fitta, i villaggi sparpagliati nella vegetazione, le strade brulicanti di Ubud, le scimmie, le spiagge, i tramonti sul mare…
Ricordo perfettamente dove, come e quando ho comprato quel pareo. Una sera a Ubud, dopo una cena fantastica da Ibu Rai, eravamo a passeggio tra le strade del centro, affollate a qualsiasi ora, piene di musica e di negozi. Entrai da Toko Yude – un’istituzione in città – con tutte le intenzioni di acquistare un telo di seta. Quando mi trovai davanti all’infinita scelta di fantasie meravigliose, però, entrai nel panico. Avrei comprato tutto, ma visti i prezzi (essendo seta) non potevo. La stessa cosa, va detto, mi successe in altri negozi lì intorno la stessa sera, soprattutto con i gioielli antichi e l’arte. A Ubud ci sono dei piccoli negozi stupendi che vendono cose meravigliose: sete pazzesche, gioielli antichi, borse di paglia di qualsiasi forma e dimensione immaginabile, bijou di perline colorate, oggetti di legno intagliato, gallerie d’arte di artisti balinesi… Non riuscendo a decidere, rimandai per il momento gli acquisti costosi e mi limitai ad un paio di cosine più economiche.
Per quanto riguarda gli acquisti “seri”, decisi che ci avrei dormito sopra e che il giorno seguente, dopo aver visitato le risaie terrazzate di Tegallalang, sarei tornata a Ubud per fare acquisti più mirati a mente lucida.
Il giorno dopo mi trovavo con 39,9° di febbre, vomito e diarrea in un “pronto soccorso” (che non mi sento molto di definire tale in realtà) da qualche parte nella foresta intorno a Ubud. Per altro convinta di aver contratto la malaria, visto che esattamente una settimana prima ero stata punta da una zanzara in Cambogia (va beh, almeno non sono drammatica dai), ma questa è un’altra storia per un’altra occasione. Quando qualche giorno dopo, sotto antibiotici, cominciai a riprendermi, era già ora di tornare a casa. Non sono mai stata alle risaie terrazzate di Tegallalang (che però ho visto più volte dal finestrino passandoci davanti nella strada tra Ubud e il nostro hotel), né sono tornata a fare shopping.
Sono sempre stata dell’idea che forse se non si riesce a fare o a vedere qualcosa durante un viaggio, questo sia segno che siamo destinati a tornare in quel posto durante la nostra vita. Ora non ne sono più così sicura. Torneremo a viaggiare con la facilità di prima?
Una cosa è certa però, ed è che non so come e non so quando, ma a Bali ho intenzione di tornare.
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